Spesso le famiglie non si accorgono del malessere di chi è caduto nella trappola del gioco d’azzardo. Alcuni segnali però possono far capire quando si sviluppa una dipendenza che, come spiega il professor Giovanni Biggio dell’Istituto di Neuroscienze del CNR di Cagliari, «coinvolge le aree del cervello che presiedono ai meccanismi di piacere e gratificazione e ai processi decisionali». «Quando il gioco — dice il professor Gabriele Zanardi del Dipartimento di Sanità Pubblica, Neuroscienze, Medicina Sperimentale e Forense dell’Università degli studi di Pavia — diventa un’esigenza per la quale vengono messe da parte tutte quelle attività sociali, lavorative e relazionali dove ormai anche il principio di paura rispetto alla vergogna, al fallimento, al rifiuto sociale lasciano spazio alla necessità del gioco, quando cominciano a entrare dei processi di pensiero distorti che allontanano il soggetto dalla verità e costruiscono una realtà fittizia siamo già ad una configurazione patologica perché c’è una perdita del contatto con la realtà ».
Visto inizialmente come un disordine del controllo degli impulsi, il gioco d’azzardo patologico è ora considerato e studiato come una vera e propria dipendenza comportamentale. Una dipendenza che porta con sé un corteo di conseguenze drammatiche: crisi coniugali, divorzi, figli costretti a diventare adulti prima del tempo, difficoltà economiche, debiti, usura, assenze dal lavoro, rischi per la sicurezza, attività illegali, compromissione della salute. «Non abbiamo solamente i malati di gioco — dice Fausto D’Egidio, presidente di FederSerD, la Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze — ma tutte le persone che girano intorno a loro e hanno disperatamente bisogno di aiuto per gestire una situazione esplosiva».