Spesso capita di sentirsi dire: “Ho il vizio del del gioco…”; più raramente invece le persone affermano: “Sono un giocatore patologico”. Ma il gioco d’azzardo è un vizio o una malattia? La risposta più corretta è: dipende! Bisogna innanzitutto intendersi sui termini.
Il vizio, infatti, è un comportamento deliberatamente messo in atto, al quale si attribuiscono connotati moralistici negativi. In sostanza è un comportamento: 1. VOLONTARIO: il soggetto può interromperlo a suo piacimento. 2. CRITICATO: “non bisognerebbe farlo però…”.
La malattia invece è una condizione che il soggetto subisce e che lo priva di qualcosa (della salute in primo luogo).
Il gioco d’azzardo rimane un “vizio” finché non insorgono le caratteristiche tipiche della dipendenza e cioè: TOLLERANZA: bisogno di sempre più sostanza o più gioco per ottenere lo stesso livello di eccitamento; ASTINENZA: nervosismo, ansia, tremori se si tenta di smettere; PERDITA DI CONTROLLO: presunta capacità di poter smettere, senza riuscirci nella realtà.
Così come esistono bevitori sociali e fumatori occasionali, esistono altresì giocatori sociali, per i quali il gioco d’azzardo rimane un’attività di divertimento, in cui investire deliberatamente parte del proprio tempo e del proprio denaro.
Per alcune persone, tuttavia, quello che sembrava un semplice vizio si trasforma in una vera e propria “schiavitù”, coinvolte come sono in dinamiche “prive di controllo”.
Rispetto a quella che è l’evoluzione della malattia, degna di nota è l’interpretazione di Custer, uno dei pionieri dello studio sul gioco d’azzardo patologico, famoso per aver dato origine alla prima unità di trattamento per i giocatori all’ospedale di Brecksville in Ohio, nel 1971.
La prima fase di incontro con il gioco viene definita da Custer FASE VINCENTE e solitamente avviene in compagnia di parenti e amici a scopo prevalentemente ludico. Il gioco procura eccitazione e piacere, si può sperimentare l’emozione della vincita e non pensare ai problemi della vita quotidiana. Al di là della reale somma vinta, può passare l’idea che il gioco sia un modo semplice e piacevole di guadagnare denaro, e che si possa interrompere in qualsiasi momento.
Il gioco per molti può trasformarsi da occasionale a sempre più frequente, il denaro investito sempre più consistente. Spesso subentra a questo punto, quella che è stata definita come FASE PERDENTE, condotta in solitudine, dove il gioco diviene sempre più ossessivo. Iniziano le menzogne ai familiari e agli amici, e via via l’irritazione, l’agitazione, il ritiro dalle relazioni, in aggiunta ai debiti che si fatica a fronteggiare.
Risulta sempre più complicato diminuire l’attività o smettere con il gioco, anche perché le perdite sono attribuite erroneamente ad un periodo di scarsa fortuna. Si innesca così il meccanismo del chasing, ovvero la rincorsa delle perdite, che porta l’individuo a giocare sempre di più, a chiedere prestiti per sostenere il gioco, nel tentativo di recuperare il denaro. In questo momento si acquista nuova fiducia convinti che la fortuna arriverà.
Progressivamente, attraverso un circolo vizioso di promesse di smettere e buoni propositi, di comportamenti agiti e sensi di colpa, si arriva alla FASE DELLA DISPERAZIONE, dove si ha perso completamente il controllo del gioco, si può incorrere in azioni illegali per trovare il denaro che possa “garantire” la giocata della “vincita”. La fase cruciale è quella della perdita della speranza dove si possono presentare pensieri o tentativi di suicidio, problemi coniugali, divorzi, problemi con la giustizia. I momenti di panico che il giocatore sperimenta sono paradossalmente tenuti a bada attraverso il gioco.
(Estratto da: Pani R. e Biolcati R. (2006). Le dipendenze senza droghe. UTET Università).
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